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Castellammare - Avella “racconta” i falsi pentiti

IL COLLABORATORE CHIARISCE IN AULA EPISODI IN CUI SONO COINVOLTI I TRE IMPUTATI ERNESTO MAS, ANTONIO RUSSO E ANTONIO DE LUCA.

tempo di lettura: 3 min
di Vincenzo Sbrizzi
15/11/2009 19.36.14

Ancora un collaboratore di giustizia chiamato a spiegare i segreti del clan dei “falsi pentiti”. È stato il turno di Ciro Avella nel processo a carico di Ernesto Mas, Antonio Russo e Antonio De Luca a giudizio dinanzi alla seconda sezione penale del tribunale di Torre Annunziata in uno stralcio del troncone principale che ha punito gli ex affiliati al clan Di Somma. La storia criminale di Ciro Avella, si intreccia, come quella di tutti gli ex scissionisti dei D’Alessandro, con il clan del boss Michele. Il suo ingressi negli “scanzanesi” è data 1987 quando a chiamarlo è Mario Imparato, allora ancora ras dei D’Alessandro. La posizione su cui le dichiarazioni di Avella potevano incidere maggiormente è quella di Russo. Cognato di Avella, Russo era stato accusato dallo stesso Avella di essere uno degli esecutori materiali dell’omicidio di Raffaele Covito. Accusa falsa ed inventata pretestuosamente nel corso della prima collaborazione delle due intrattenute da Avella con la giustizia. In quell’occasione il suo pentimento fu dettato dal boss del nuovo clan che era in procinto di nascere, Raffaele Di Somma. Con il suo capo concordò le dichiarazioni da rendere alla magistratura per confondere le acque e confutare quelle rese dagli altri collaboratori di giustizia che sarebbero stati richiamati a Castellammare per abbandonare i programmi di protezione a cui erano sottoposti. Russo venne indicato negli interrogatori dopo un incontro con Di Somma in Germania a Krefel, dove viveva da latitante e dove intratteneva rapporti anche con rappresentanti dell’n’drangheta calabrese e della mafia siciliana. Avella dopo aver concordato le dichiarazioni si consegnò ai carabinieri di Chieti. Pochi mesi di collaborazione per poi tornare come tutti gli altri a Castellammare su ordine di Di Somma per costituire il nuovo gruppo che aveva come base operativa il quartiere di Santa Caterina, e aveva come obiettivo la conquista della città stabiese. In aula Avella ha confessato la falsità delle sue dichiarazioni riguardanti quell’omicidio ma in contestazione non c’era l’episodio di sangue ma la presunta appartenenza di Russo e gli altri due ai D’Alessandro. Avella su questo punto non ha escluso i rapporti di Russo con il clan ma di fatto ha spiegato che faceva da autista al fratello Gennaro che non poteva guidare. Lo accompagnava ed era presente in tutte le attività delittuose e gli incontri organizzativi a cui partecipavano gli Avella ma non era stipendiato dal clan. A pagarlo era proprio Gennaro Avella che lo considerava un fido collaboratore. In particolare ha ricordato un episodio estorsivo non contestato dalla procura Antimafia in questo processo ma messo a segno da Russo e Gennaro Avella ai danni della ditta “Leggero”. Avella ha, inoltre, confermato che le riunioni dei “falsi pentiti” vennero in più riprese fatte a casa di Ernesto Mas che partecipava attivamente al gruppo. Di De Luca, invece, sapeva per confidenze fattegli in carcere che aveva sempre fatto parte dei D’Alessandro e di lui ne aveva sempre parlato bene Vincenzo D’Alessandro, definendolo un dei pochi che non aveva mai girato le spalle alla famiglia.

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