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Castellammare - «Io vengo dalla scuola della buon'anima di papà», così il boss Enzo D'Alessandro si imponeva a Scanzano

Indicato dalla mamma Teresa Martone e istruito dal padre fondatore del clan, Vincenzo D'Alessandro ha gestito per anni la cosca. «Non sono il migliore dei fratelli, ma sono così: sono D'Alessandro»

tempo di lettura: 2 min
di Gennaro Esposito
05/05/2019 12:29:26

Come se fosse stato istruito. Ha seguito suo padre durante gli anni della faida, ha cercato di imparare i segreti della leadership e poi li ha messi in campo quando è stato lui il boss della cosca. Praticamente un alunno che prova a superare il maestro. Lui lo sapeva, lo ripeteva spesso: «Io vengo dalla scuola della buon'anima di papà». Una frase che ricorda, se ce ne fosse bisogno, la provenienza. Vincenzo D'Alessandro si imponeva così quando doveva incontrare un imprenditore, doveva chiarire la sua posizione fin da subito: con lui nulla sarebbe cambiato. E' quanto emerge all'interno dell'inchiesta Tsunami condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia che punta a decapitare il clan di Scanzano che da anni ha messo le mani sulla città di Castellammare. 

Una delle figure al centro del filone investigativo è proprio quella di Vincenzo D'Alessandro. Era lui a gestire le estorsioni in compagnia di alcuni affiliati fidati, fra cui Renato Cavaliere che oggi è diventato un collaboratore di giustizia. «Enzuccio», come è noto negli ambienti della mala, incontrava spesso personalmente le sue vittime per imporre le tre classiche tariffe a Pasqua, Ferragosto e Natale. Un modus operandi che si ripeteva con costanza nei covi di Scanzano. E per impaurire gli imprenditori ricordava loro che lui non era uno qualsiasi, era un D'Alessandro, con le stesse capacità del defunto padre. Accostarsi a Michele D'Alessandro era sinonimo di intimidazione e di forza: lo sapeva e doveva sfruttarlo. Ma anche la mamma, Teresa Martone (oggi ai domiciliari dopo l'inchiesta Olimpo), sapeva delle "qualità" del figlio tanto che spesso era lei a inviargli gli imprenditori da controllare. «Non sono il migliore dei tre fratelli, io sono così. Sono un D'Alessandro» ripeteva spesso alle sue vittime. 

Secondo gli inquirenti, Vincenzo D'Alessndro era abile come suo padre anche a mantenere le relazioni con gli altri clan del comprensorio e soprattutto con quelli lontani dalla Campania. Con lui parlavano le cosche della Calabria oltre che alcune del napoletano. Ma riusciva ad organizzare anche degli incontri per mantenere la pace come per esempio con i Cesarano. Era cosciente che una faida avrebbe messo in ginocchio gli affari del clan.

Figlio di Michele D'Alessandro, capoclan senza scrupoli, e di Teresa Martone, ha gestito per diversi anni la cosca stabiese. E' stato lui a trasformare la camorra di Castellammare, a spingere verso gli appalti pubblici, le estorsioni e verso la delocalizzazione dello spaccio. Niente più pusher a Scanzano ma solo nel quartiere amico degli Imparato, il Savorito (alleanza ancora forte tutt'oggi). Enzo D'Alessandro sapeva che i fondi europei e comunali potevano essere intercettati e con i dipendenti corrotti ci riusciva. Dopo anni di carcere è ritornato in libertà senza però poter ritornare nella sua città: il rischio che possa riprendere in mano le redini del clan è alto. E' comunque il sorvegliato numero uno delle forze dell'ordine del comprensorio stabiese.

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