Tra la vegetazione fitta e le rocce scoscese del Faito, i magistrati e i periti della Procura di Torre Annunziata sono tornati a cercare risposte. Con l’aiuto dei vigili del fuoco e dei droni, si tenta di individuare frammenti ancora dispersi della cabina precipitata il 17 aprile scorso, nel tragico incidente della funivia che ha spezzato quattro vite. Pezzi che potrebbero essere finiti lontano dal punto dell’impatto e che potrebbero rivelarsi cruciali per la ricostruzione tecnica della dinamica.
Il sopralluogo si inserisce in un’indagine sempre più articolata, che guarda non solo alle cause immediate della caduta, ma anche alla storia manutentiva dell’impianto. I magistrati stanno raccogliendo tutti gli atti firmati dal 2016, anno della riapertura della funivia, a oggi: collaudi, revisioni, sostituzioni di pezzi, affidamenti. L’obiettivo è ricostruire ogni passaggio e ogni responsabilità.
Quattro nomi sono già finiti nel registro degli indagati, tra dirigenti e tecnici di Eav. Si tratta di un atto dovuto per consentire lo svolgimento delle autopsie, già effettuate nei giorni scorsi sui corpi di Janan Suleiman, giovane farmacista israeliana, della coppia britannica Derek ed Elaine Winn, e di Carmine Parlato, dipendente Eav. Nella cabina c’era anche Thabeet Suleiman, 23 anni, fratello di Janan, unico sopravvissuto e attualmente ricoverato all’Ospedale del Mare.
Mentre i familiari delle vittime chiedono chiarezza, l’attenzione si concentra su un elemento in particolare: i freni d’emergenza, che avrebbero dovuto attivarsi e impedire la tragedia. La cabina a valle si è regolarmente bloccata, salvando dieci persone. Ma per quella a monte qualcosa non ha funzionato.
Una falla, forse, in un sistema che avrebbe dovuto garantire sicurezza. La funivia era simbolo di rinascita, collegamento tra la città e la vetta. Oggi è il centro di un’indagine complessa, che non vuole cercare colpe a caso, ma solo restituire alle vittime – e ai vivi – una verità certa e definitiva.