Non era stata accolta con favore la decisione di sopprimere la linea ferroviaria istituita sin dal 1839 con sacrificio e grande senso di responsabilità e praticità dagli anziani della provincia di Napoli in genere e di Castellammare di Stabia e Gragnano in particolare. Gli Stabiesi dell'Ottocento e dei tempi nostri, infatti, hanno sempre difeso e difendono i "servizi pubblici" ritenuti in tutti i tempi e in tutte le circostanze i più sicuri per efficienza tecnica e per affidabilità.
Chi sta leggendo questo "pezzo" deve sapere che è stato scritto e riscritto diverse volte perché, tra precisazioni, proteste, ripensamenti, quasi giornalieri, solo qualche giorno fa, abbiamo appreso che la situazione sarebbe stata sbloccata, nel modo dai più auspicato: cioè tutto è stato sospeso e a chi interessa la stazione ferroviaria, soprattutto cittadini e Città, l'antica struttura, che svolge ancora la sua funzione pubblica, rimane al suo posto.
A nulla possono valere le personali, strumentali prese di posizione per fermare i treni, (già tentata dalla precedente amministrazione), come non è tollerabile mantenere in piedi diatribe tra palazzo Farnese, associazioni varie e organizzazioni politiche su una questione che, dopotutto, interessa soprattutto la Città e di meno chi la rappresenta, nel bene e nel male, nei civici consessi, in quanto, in genere, i politici passano e i problemi, anche scottanti, rimangono alla Città. E così è stato per le concessioni, soprattutto degli ultimi venti anni, i debiti contratti, i mutui, le parcelle d'oro elargite per consulenze e per progettazioni di opere ritenute poi non realizzabili per la mancanza di copertura finanziaria, per le licenze, per le nomine, per la partecipazione a enti. Sarebbe propizio, ora, un maggiore autocontrollo, da parte di istituzioni e rematori controcorrente di professione, non accogliere provocazioni, che banalizzerebbero l'impegno che si profonde per ristabilire legalità e ordine democratico forse per qualche tempo passato dimenticato. Ciò a vantaggio di tutti proprio nel momento che la Città sta percorrendo un delicato tragitto. Nonostante tutto, grazie alla mobilitazione di cittadini "anonimi" e "inquadrati in associazioni", la Città, sembra, uscirne vincente. E la "Ferrovia" è ancora sua. Meno male!
Prima di continuare, ci piace ricordare subito, ritornando al titolo, che l'istituzione di una linea ferroviaria Napoli - Portici (primo tratto) - Castellammare - poi Gragnano, suscitò un clamore enorme che ebbe eco in tutte le capitali europee. Erano periodi fausti per il regno delle due Sicilie e all'inaugurazione intervenne sia il Re (Ferdinando II), sia i membri della casa reale, nonché il Corpo Diplomatico, i ministri, i Capi di Corte gli altri personaggi invitati. Ma non fu la prima occasione: il 12 ottobre 1885 veniva inaugurata, la linea ferroviaria Cancello-Castellammare di Stabia-Gragnano, con altrettanto solennità, alla presenza dei sovrani d'Italia, Umberto e Margherita di Savoia, invitati dal deputato Tommaso Sorrentino.
La benedizione della stazione di Gragnano, fu impartita dal vescovo diocesano mons. Vincenzo Maria Sarnelli (futuro arcivescovo di Napoli), seguita da un famoso "buffet" di maccheroni locali mangiati e apprezzati dai sovrani e dal seguito reale. Per curiosità aggiungiamo che Re, Regina e cortigiani, ricusarono le "coppe di sciampagna" e chiesero di bere il già noto vino di Gragnano.
Ciò detto, ricordiamo che l'allarmismo suscitato dalla soppressione della linea, era anche giustificato da un'altra considerazione: cioè che la Città è stata per perdere un altro "pezzo" del suo patrimonio storico-culturale in vista di uno sviluppo turistico, sempre auspicato ma che fino ad oggi è stato impossibile realizzare per una mancata programmazione mirante a convogliare qui flussi di villeggianti e curandi per le nostre terme. Va tenuto presente, tuttavia, che l'insufficiente interesse a programmare ambiziosi traguardi scaturisce probabilmente dal fatto che il "turismo termale" come è il nostro, segue una stagionalità lavorativa precisa che si esaurisce nell'arco di tre - quattro mesi all'anno. Né possiamo pensare solo alle navi crociera e ai provocanti yacht e a quando arrivano i ricchi col loro ostentato alone di magnificenza, che, comunque, poco rispecchia le realtà locali che appartengono a ben diverso contesto sociale. Quindi da noi, almeno considerando le cose come stanno oggi, le terme possono, e devono costituire un supporto da privilegiare ma da non considerare sostitutivo di altre realtà come da alcune parti si tenta di sostenere.
Non va dimenticato che Castellammare di Stabia conserva ancora la nobile matrice di città principalmente operaia. Il che dice molto. In tante altre occasioni abbiamo avuto modo di dire che, la classe politica locale, ma non solo, da tempo, invece di preoccuparsi della Fincantieri, delle terme, dell'Avis, i cui problemi vanno presto affrontati e definitivamente risolti senza ulteriori indugi e temporeggiamenti (per non parlare poi di tante altre industrie che per mancati concreti interventi hanno dovuto chiudere i battenti, infoltendo la già numerosa massa di disoccupati), volge lo sguardo verso orizzonti già fortemente presidiati da altri centri turistici viciniori da decenni accreditati a livello internazionale di consolidata risonanza. E' stato detto già nel passato, che il numero degli alberghi e pressappoco lo stesso di un secolo fa, il numero dei curandi alle terme permane in una condizione di stallo, la Fincantieri e le terme, veri consistenti polmoni per l'economia locale e del territorio, languono, il settore dei beni culturali nel cui ambito rientrano gli scavi di Stabia "aspettano lo sviluppo che è fermo agli anni Sessanta", perché, invece di programmare uno sviluppo graduale dell'importante patrimonio archeologico già riportato alla luce, promuovendo un rilancio dei due singoli settori, vengono proposti progetti che sconvolgerebbero, tutta la zona di Varano-Gragnano, senza ragionevoli risultati e con dispendio di centinaia di milioni di euro. Anche quest'ultimo problema non è seriamente affrontato proprio perché le cose, per oscuri motivi, sono destinate a "rimanere così, come stanno!".
La storia. Un'occhiata a quel periodo, che vide l'eccezionale realizzazione della prima ferrovia che attraversava parte della costiera a sud della capitale del Regno delle Due Sicilie, ricongiungendo, in "un baleno" città e paesi, sembra quasi d'obbligo. Fu l'ingegnere francese, Armando Bayard de le Vongtrie, che, all'inizio del 1836 (prima dell'inaugurazione della linea ferroviaria di Parigi), giunse a Napoli spinto da forte spirito imprenditoriale, per chiedere al Re (Ferdinando II), il permesso di poter costruire una "strada ferrata", come si diceva allora, tra Napoli e Nocera. Egli avrebbe insieme con una sua Compagnia, compiuta l'opera a proprie spese e a proprio rischio. Come "compenso" l'imprenditore chiedeva la concessione per 99 anni (usufrutto), poi la "ferrovia" sarebbe divenuta proprietà dello Stato.
La proposta - dicono i cronisti del tempo - fu studiata dal ministro Nicola Santangelo, che espresse il parere di accettare il progetto in linea di massima. Napoli, in quel periodo godeva di rispettabile considerazione addirittura a livello internazionale e vi si respirava l'adatto clima per aprire le strade del pionierismo delle modernità; i Borbone, che già nel 1783 avevano realizzato il cantiere navale, la Corderia, la prima statale, opere pubbliche di notevole importanza sociale, vantavano l'inaugurazione del primo battello di linea a vapore d'Italia, ed erano riusciti con una delle prime reti italiane a collegare telegraficamente Napoli con la Sicilia; dunque anche il Re (appena 26 enne, sul trono da sei anni) l'idea dell'ingegnere Bayard non dispiaceva proprio.
(ricordiamo che a Napoli fu poi costruita anche la prima Metropolitana d'Italia).
Con decreto del 19 giugno 1836 il Re concesse al Bayard la facoltà di costruire la ferrovia, ma con limitazione assai più strette di quelle che l'impresario francese avrebbe voluto.
I lavori, diretti dall'architetto Camillo Ranieri, avrebbero dovuto esser compiuti in sei anni; Bayard doveva depositare 100.000 ducati, i quali sarebbero stati confiscati se in quel tempo non si fosse finita l'opera. Inoltre l'usufrutto della concessione fu limitata a soli 80 anni. L'atto tra il governo di Napoli e il Bayard "è stato ricordato"fu stipulato a Parigi dal notaio M. Hailigalla Chaussèe d'Antin.
Ottenuta dunque la concessione, il Bayard si pose all'opera e già due anni dopo, precisamente l'8 agosto 1838, il primo tratto di binari era pronto da Napoli al Granatello di Portici.
Le locomotive giunsero dall'Inghilterra, mentre le carrozze solide ed eleganti furono fabbricate a Napoli. Ma non è tutto. Il successo della ferrovia suscitò tali entusiasmi che i lavori gradualmente, di tratto in tratto, proseguirono e il 25 luglio 1842, l'ingegner Bayard eseguì la "prova" del treno che congiungeva Torre a Castellammare di Stabia, e il 2 agosto 1842 la strada ferrata fino a Stabia fu aperta al pubblico, e due anni dopo, raggiungeva Nocera (Altri tempi!). Comunque, il treno, costeggiando le nostre terre, giunse da noi alla stazione di Quartuccio. Intanto nel 1842 anche l'edificio della stazione di Castellammare di Stabia (progettato e realizzato in "stile pompeiano"), fu pronto ma per alcuni dislivelli, tra la piazza esterna e il piano dei binari, furono necessari altri lavori portati tutti a compimento.
Il tecnico delle vespe vicino alle vittime della Tragedia del Faito. «Sono cose che ti segnano dentro. Contro i blucerchiati serviranno voglia di giocare a calcio e ritmo. Adorante? Qualche piccolo acciacco, vedremo se rischiarlo.»
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