I fatti emersero dopo un'inchiesta avviata dai carabinieri della compagnia stabiese e che aveva un titolo piuttosto suggestivo: new bosses.
Quando i carabinieri si misero sulle loro tracce sapevano di poterli trovare insieme. E così, quando decisero di mettersi in moto per eseguire l'ordinanza di custodia cautelare a loro carico andarono a colpo sicuro e nel giro di mezzora i due cognati, Massimo D'Agostino e Luciano Verdoliva, finirono in cella. Il gup Ceravone di Napoli li rinviò a giudizio insieme ad Antonio Elefante, con la pesantissima accusa di associazione camorristica finalizzata all'estorsione e così - a un anno da quella prima udienza arriva anche anche la requisitoria del pm antimafia Claudio Siragusa, che dopo una decina di udienze tira le somme sui tre imputati, nomi noti alle forze dell'ordine e agli ambienti criminali stabiesi. Per Massimo D'Agostino, alias 'o torrese, 31 anni, la Dda ha chiesto 20 anni di carcere; 16 e 5 mesi sono stati chiesti per Antonio Elefante, 57 anni, alias 'mozzarella' (già condannato a 30 anni per lo stesso capo di imputazione nel processo insieme al boss Luigi D'Alessandro); 14 anni per Luciano Verdoliva, 32 anni, tutti difesi dai penalisti stabiesi Francesco Schettino e Alfonso Piscino. Secondo l'accusa Luciano Verdoliva e Massimo D'Agostino (rispettivamente figlio e genero del defunto boss di Scanzano, Giuseppe Verdoliva, alias l'Autista e quindi cognati) sfruttando la reputazione criminale di Antonio Elefante, misero a segno (o tentarono di farlo) una fitta attività estorsiva ai danni di alcune ditte edili che avevano ottenuto l'appalto sul territorio cittadino.
Pur se vaghi i riferimenti al ruolo ricoperto all'interno della gang, ogni tassello oggi è stato messo al proprio posto. Con un'aggravante: Verdoliva e D'Agostino erano considerati due emissari del clan nel campo del pizzo cittadino, settore in crisi a partire dal 2004, quando si scatenò la faida con la banda capeggiata da Scarpa e Omobono. Mandante delle operazioni fu Antonio Elefante, che dal carcere continuava a dirigere i due pregiudicati nella richiesta di denaro alle ditte edili e nella gestione del fiorente traffico di droga sull'asse Scanzano-Santa Caterina (si ipotizza una serie di traffici a Perugia, gra
zie alla collaborazione di due pregiudicati umbri). Luciano Verdoliva aveva già assaggiato la detenzione prima del blitz, quando fu arrestato dai carabinieri per resistenza a pubblico ufficiale. Un sabato sera, nel dicembre 2006, il ras fu trovato in stato di ebbrezza al volante della sua auto. Fu bloccato, perquisito e arrestato: "Voi non sapete con chi avete a che fare", disse Verdoliva ai carabinieri. "Io sono il figlio del boss", affermò. Era ubriaco e fu invitato a smaltire la sbronza in cella di sicurezza. In quell'occasione il gip non convalidò l'arresto e tornò libero dopo pochi giorni. Poi il blitz. L'accusa, però, fu decisamente più grave, anche se le vittime non aiutarono i giudici a risolvere con serenità il caso. Davanti alla seconda sezione del tribunale torrese comparvero due testi dell'accusa, i titolari di due imprese edili di Caserta che - secondo le indagini - furono oggetto di richieste estorsive da parte di D'Agostino su ordine di Elefante. I due imprenditori negarono di conoscere personalmente i due indagati, sostenendo che il blocco dei lavori fu dovuto solo a problemi di carattere tecnico: "Fu il Comune a bloccare gli interventi di manutenzione urbana in viale Europa: nessun altro si presentò da noi chiedendo denaro".
I fatti emersero dopo un'inchiesta avviata dai carabinieri della compagnia stabiese e che aveva un titolo piuttosto suggestivo: new bosses. A parte la forzatura applicata al plurale di 'boss', l'inchiesta puntava ad individuare chi - tra le nuove leve dei D'Alessandro - avesse preso in mano le redini del clan dopo la terribile faida del 2004, che oltre ai morti produsse anche una sequela di arresti che decimò sostanzialmente la cosca, Sia D'Agostino, sia Verdoliva furono inseriti in quella stretta cerchia di 'papabili' reggenti, trentenni fino ad allora mai investiti da ruoli di vertice. Una lista che comprendeva i nomi di Vincenzo Guerriero, alias 'o cane e di Giovanni Avitabile, detto o'tuppillo, in compagnia dei suoi presunti fiancheggiatori: Catello Apadula (detto Lello 'o musso) e Luigi Ingenito (alias 'o mandriano).