Secondo la ricostruzione tecnica elaborata da Geopop, la funivia del Faito – un impianto “va‑e‑vieni” con due cabine agganciate alla stessa fune traente – ha ceduto nel punto di massima trazione: il cavo d’acciaio si è spezzato di netto, liberando entrambe le vetture. Il freno d’emergenza della cabina che scendeva verso valle ha fatto presa sulle funi portanti, bloccandola e salvando i passeggeri; quello della cabina in salita, invece, non si è innestato. Rimasta senza trazione e senza freni, la vettura è scivolata all’indietro sui cavi a velocità crescente, ha urtato violentemente un pilone, è deragliata dalle funi portanti e si è schiantata nel bosco dopo un volo di oltre cento metri. L’ipotesi più accreditata combina rottura per fatica del cavo e mancato ancoraggio delle ganasce di sicurezza, ma le indagini dovranno stabilire perché il sistema di blocco abbia funzionato su una cabina e fallito sull’altra. . Nell’urto sono morti il macchinista Carmine Parlato, due turisti britannici – Margaret Elaine e Graeme Derek Winn – e la turista israeliana Janan Suliman; il fratello di quest’ultima, Thaeb, unico sopravvissuto, lotta in rianimazione a Napoli. La Procura di Torre Annunziata ha sequestrato l’intero impianto e indaga per omicidio colposo plurimo e disastro colposo. Sul versante politico, il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha disposto controlli straordinari su tutte le funivie italiane, con un report atteso entro trenta giorni: un segnale di rigore che le agenzie internazionali presentano come prova di «laboratorio di sicurezza» ma anche di vulnerabilità italiana. Il Faito, balcone naturale della costiera sorrentina, convoglia oltre centomila visitatori a stagione. Con l’impianto bloccato e la Circumvesuviana interrotta nel tratto sottostante, gli albergatori locali registrano le prime disdette in vista del ponte del 25 aprile e temono una flessione a doppia cifra nelle prenotazioni estive. Vicinanza profonda alle famiglie delle vittime, espressa dalla premier da Washingt
on, dove era in colloquio con il presidente Trump, . Il Foreign Office assiste i parenti delle vittime e mantiene un canale diretto con la Farnesina. L’ambasciata di Israele a Roma ha inviato un’équipe medico‑psicologica al capezzale di Thaeb Suliman, chiedendo «indagini rapide e trasparenti». Questo il prisma mediatico internazionale: dal Guardian che apre la sua cronaca con il dato nudo del bilancio, alla CNN, che titola “Four people killed, one injured” e fotografa la cabina sospesa a valle, il Reuters bolla l’evento come “unimaginable tragedy” riportando le parole di De Gregorio; The Independent ricorda che la linea era tornata operativa solo dieci giorni prima. Dalle cronache emerge un fil rouge: l’Italia viene descritta come terreno di prove estreme per la sicurezza funiviaria, stretto fra controlli severi e una sequenza di incidenti che ne minano la reputazione. Il cedimento di una fune è un evento tecnico; l’onda che genera è profondamente sociale. Più testate internazionali, pur con angolature diverse, ripercorrono gli stessi disastri (Cavalese ’98, Dolomiti ’98, Mottarone ’21). Oltre ai cavi d’acciaio, si è spezzata la fiducia di chi viaggia e di chi vive sotto quelle funi: un popolo improvvisamente orfano di un simbolo forte della sua identità. Ora, tra i rumori ovattati di una montagna che tenta di tornare al suo respiro, la città trattiene il fiato: il dolore resta sommesso, quasi pudico, ma non per questo meno profondo. Castellammare aspetta risposte ‑ non capri espiatori di comodo, ma verità nitide – e solo allora potrà ricucire lo strappo tra ciò che era e ciò che sarà.
La ricostruzione, anche grafica, di Geopop: