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Castellammare - Il sarcofago del Buon Pastore

Il reperto paleocristiano e il sogno di mons. Sarnelli.

di Egidio Valcaccia


Il duomo stabiese sorge su di una necropoli pagana attigua alla strada tra Nocera e Stabiae, ripristinata nel 121 d.C. dall'imperatore Adriano a seguito della distruzione della zona causata dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Sulle ceneri indurite, dove si ergevano tombe e monumenti funebri, sorse l'area Christianorum Stabiensis (un cimitero a cielo aperto). Negli anni 1875-79 furono scoperti dei sepolcri, soglie di abitazioni e l'entrata di un'officina coriarorum. Vennero alla luce reperti classici e cristiani, sarcofagi, iscrizioni, lucerne fittili, utensili ecc., che testimoniano vari periodi della storia stabiese: anteriore all'eruzione del 79 d.C.; posteriore alla catastrofe del 79, dal II al VII secolo; avanzi facenti parte di sepolcri medievali: la maggior parte di queste testimonianze è oggi esposta presso il Museo Diocesano stabiese. Prima dell'attuale sistemazione i reperti sono stati ospitati nella sala capitolare del duomo e poi nell'Antiquarium stabiese.
Queste testimonianze, provenienti da un'area archeologica scavata e studiata solo in minima parte, oltre a documentare l'antichità della Chiesa a Stabiae, certificano l'identificazione cristiana delle prime comunità, attraverso i simboli del Monogramma di Cristo, della Colomba e del Buon Pastore.
 Recenti saggi di scavo, condotti dall'archeologo Mario Pagano hanno rimarcato la grande importanza di questo sito. "Novità molto importanti ha dato poi una breve ma intensa campagna di scavi che ho potuto dirigere, tra il 2003 e il 2004, sotto i locali della sala capitolare e della sacrestia della cattedrale di Castellammare di Stabia, dove importanti ritrovamenti erano avvenuti già nel 1876-79, durante la costruzione di quest'ala dell'edificio. Un primo intervento di pulizia era stato condotto nel 1994 da Giovanni Liccardo con il rinvenimento di numeroso materiale archeologico. I nuovi scavi pur condotti nell'angusto spazio di due ambienti sotterranei e del corridoio che li collega, parzialmente disturbati anche da trincee condotte selvaggiamente e senza documentazione, verosimilmente, all'indomani del terremoto del 1980 lungo le pareti, hanno avuto risultati sorprendenti, tanto da auspicare un loro prosieguo" (M. Pagano).
Tra le testimonianze  rinvenute al di sotto della cappella di San Catello, il 4 agosto 1879, venne alla luce un interessante sarcofago marmoreo datato all'età tetrarchica (fine III - inizio IV secolo d. C.). È comunemente identificato come il Sarcofago del Buon Pastore: si tratta di  uno dei più antichi sarcofagi su cui è rappresentato tale simbolo cristiano. è da ricordare che la produzione dei sarcofagi paleocristiani con decorazione scolpita si sviluppa dagli inizi del II secolo in seguito al progressivo abbandono del rito dell'incinerazione (cremare i defunti) a favore di quello dell'inumazione (seppellimento) che, nel corso del secolo, si impose in tutto l'Impero. Si trattava  di una sepoltura costosa, riservata alle famiglie benestanti.
La lastra del sarcofago "Al momento del rinvenimento era poggiata sul coperchio (anepigrafe, con alzata decorata col motivo delle Quattro Stagioni) del sarcofago cd. del Buon Pastore. Il frontone del coperchio è decorato al centro da una cornice anepigrafe, composta da listello, becco e righello; è fiancheggiata a sinistra da cinque puttini (...). A destra della tabula  sono latri tre putti ;al posto di un quarto putto hanno scolpito invece un bustino femminile molto giovanile" (M. M. Magalhaes). Questa lastra è oggi esposta nel Museo Diocesano e viene ben descritta da mons. Di Capua: "Nel centro ha un piccolo rettangolo con cornice, sostenuta da due putti. In esso doveva scolpirsi l'epifatto della defunta (...) In questo coperchio fu trovata la lastra di marmo con l'iscrizione di Cornelia Ferocia (morta a 59 anni). A sinistra del rettangolo centrale c'è un piccolo quadro con un busto di donna e due genietti laterali; a destra si osservano altri quattro genietti, che portano volatili e degli agnelli. Tra il primo e il secondo genietto, in basso, c'è una fiscella di ricotta; tra il secondo e il terzo, un gallinaceo. Alle due estremità son due belle teste a profilo".
l'altra parte del reperto, il sarcofago raffigurante la simbologia del Buon Pastore è stato recentemente studiato da Antonio Ferrara che lo cataloga come un "Sarcofago strigilato, pentapartito con figure femminile al centro, tra due pannelli strigilati, e due pastori con ariete sulle spalle e brocca nelle mani (il r

efrigerium per la defunta) alle estremiità".
L'immagine che si ammira nel citato Museo Diocesano è una copia dell'originale che è esposto dal 1883 nel duomo, come paliotto, al di sotto della mensa dell'altare di San Catello; anch'esso è ben descritto dal Di Capua: "Nel mezzo si vede scolpita a bassorilievo una matrona in piedi con chitone e mantello; la quale sostiene con le due mani un volumen; cioè un papiro avvolto; alla sinistra ha una ragazzina (...) Alle due estremità sono scolpiti due pastori: quello a sinistra è giovane e imberbe, quello a destra è d'età matura (...) Portano sulle spalle un ariete (...) Ognuno dei due pastori ha a fianco il proprio cane".
L'attuale sistemazione del sarcofago non può per nulla considerarsi casuale. È chiaro che usando il reperto come altare del Santo patrono di Stabia, s'intende accostare la figura biblica di Cristo Buon Pastore  con quella di colui che è considerato dalla storia, il Buon Pastore della Chiesa stabile, il vescovo San Catello.
Tale accostamento sarebbe ancora più evidente se, come desiderio di mons. Vincenzo Sarnelli (vescovo di Castellammare dal 1879 al 1897), nel sarcofago fossero conservati i resti mortali del Santo patrono.
Il Servo di Dio Vincenzo Maria Sarnelli (Napoli, 1835-1898) fu particolarmente devoto di San Catello e il culto del patrono di Stabia è, ancora oggi,  indissolubilmente, legato all'apostolato del vescovo napoletano.
 Per le numerose iniziative, la storia lo ricorda tra i più amati vescovi di Castellammare. Nell'epidemia di colera del 1884 la Sua instancabile opera di carità  gli valse la medaglia d'oro al valore civile; diede tutto ciò che possedeva ai poveri e per i lavori nella cattedrale, effettuati dal 1879 al 1896.
Durante tali lavori fu realizzata l'attuale cappella di San Catello; qui fu collocato il sarcofago che doveva accogliere il corpo del patrono: in pratica la cappella fu eretta come monumento funebre del Santo. Sull'arcata del monumento il prelato fece incidere quello che è poi divenuto il motto di San Catello: "Posuit Me Dominus Custodem Populi Mei" (il Sigore mi pose a custodia del mio popolo).
Mons. Sarnelli fu tra i vescovi che più si prodigarono per ritrovare il corpo di San Catello. Curò personalmente le operazioni di scavo sul monte Faito ed offrì al Signore diversi digiuni e preghiere, esortando anche il Popolo e il Clero ad unirsi nella supplica a Dio, perché concedesse tale grazia.
È documentato che, durante tutte le messe del novenario patronale del 1880, il vescovo dispose l'aggiunta d'intenzioni dirette ad ottenere lumi dal Signore per ritrovare il santo corpo. Il 5 maggio 1880 mons. Sarnelli si ritirò sul monte Faito e, dopo essersi assorto in preghiera, effettuò delle ricerche sulla cima del Molare e presso la Grotta di San Catello, luoghi indissolubilmente legati alla vita e al culto del Santo patrono: di ritorno a Castellammare si fermò nella Casa delle Suore Compassioniste a Scanzano, dove fu colpito per circa un'ora  da cecità. Dopo essersi ripreso esclamò "Credevo che oggi a me fosse avvenuto ciò che avvenne a coloro che tentarono di scoprire il sepolcro di Sant'Antonino a Sorrento: restarono ciechi".
Gli sforzi del prelato non diedero i risultati sperati e mons. Sarnelli dovette rassegnarsi, tanto da arrivare ad affermare che "Il segreto della sepoltura di San Catello Dio l'ha riserbato per sé".
Il 19 aprile 1897 il vescovo Sarnelli fu nominato arcivescovo di Napoli. Il prelato tornò a Castellammare il 1 agosto 1897 per la cerimonia di incoronazione della Madonna di Porto Salvo: recitò una commovente omelia di addio, affidando la diocesi alla protezione della Madonna. Aveva 63 anni ed era appena trascorso un anno dalla nomina quando, colpito da un male improvviso, morì e fu pianto dai fedeli di entrambe le Diocesi.
Altri religiosi e studiosi stabiesi (e non solo) tenteranno, invano,  di risolvere l'enigma riguardante la sepoltura di San Catello, ma finora si sono costruite solo ipotesi. Il sarcofago del Buon Pastore, pertanto, è ancora vuoto e in "attesa". Forse un giorno saranno sistemate al suo interno le spoglie del Santo, offerte alla venerazione dei fedeli. Quel giorno sarà realizzato il sogno del Servo di Dio Vincenzo Maria Sarnelli.


domenica 29 aprile 2012 - 0.41 | © RIPRODUZIONE RISERVATA

 



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