Chi non pagava il pizzo doveva vedersela con Antonio Di Martino. Non accettava ritardi o giustificazioni: le rate dovevano essere saldate secondo i tempi che lui stabiliva. I ritardi costavano ai piccoli imprenditori di Gragnano minacce e in alcuni casi aggressioni verbali. E' quello che accadde ad un piccolo artigiano di Gragnano che, non avendo riconsegnato il denaro prestatogli dagli uomini del clan, fu convocato dal figlio di Leonardo Di Martino e massacrato di botte. A ricostruire la storia sono state le forze dell'ordine nell'ambito dell'inchiesta Olimpo che ha scoperchiato il sistema delle estorsioni in tutto il comprensorio stabiese e che ha portato all'arresto di 14 persone. I Di Martino, con la loro roccaforte a Gragnano, gestivano il racket nella città della pasta soprattutto grazie alla ferocia di Antonio definito "yuppi du".
Grazie ai suoi affiliati, in primis Vincenzo Di Vuolo (uomo operativo anche dei D'Alessandro di Castellammare), Di Martino controllava i piccoli imprenditori gragnanesi. Quando quest'ultimi, per diverse ragioni, non riuscivano a saldare le rate, spesso venivano contattati dallo stesso figlio del capoclan che gli intimava il pagamento. Nel peggiore dei casi si muoveva il Di
Vuolo che prelevava l'imprenditore, lo accompagna in un luogo appartato (in alcuni casi nella zona di Iuvani) dove poi avveniva il pestaggio ad opera dello stesso Di Martino. In uno dei casi ricostruiti dalle forze dell'ordine è emersa la stretta collaborazione fra colui che gestiva la cosca e il Di Vuolo che più di una volta ha accompagnato le vittime al cospetto del Di Martino. Ad inchiodare i due sono state le intercettazioni all'interno delle auto e delle abitazioni degli affiliati.
Erano finiti nel mirino della famiglia camorristica di Gragnano sia i piccoli artigiani ma anche grandi imprenditori, come quelli di edili di Santa Maria la Carità. In uno delle ditte sammaritane Di Vuolo, sempre per conto dei Di Martino, prelevava del materiale senza pagarlo contando sul silenzio delle sue vittime. Le estorsioni, come è noto, servivano soprattutto per rifornire di denaro le casse del clan che doveva badare al sostentamento delle famiglie dei tanti carcerati. E per farlo non bastavano i soldi dello spaccio che per i Di Martino erano comunque fonte di guadagno importante in quanto riuscivano a sfruttare i boschi dei Monti Lattari per la coltivazione della canapa e della marijuana.