Napoli Calcio

Napoli - Michele Pazienza a Passione Azzurra: «Il periodo vissuto a Napoli è stato fantastico»

Le dichiarazioni di Michele Pazienza a Passione Azzurra

di Annalisa de Martino


In occasione della terza puntata di Passione Azzurra, nuovo format televisivo di StabiaChannel, è intervenuto ai nostri microfoni, Michele Pazienza, ex giocatore azzurro ed attuale tecnico dell’Audace Cerignola, squadra che milita nel girone H di serie D.

Pazienza fa il suo esordio in maglia azzurra il  2 febbraio 2008, contro la sua ex formazione friulana l’Udinese, nella partita vinta dagli azzurri per 3-1; con i partenopei segna anche il suo primo gol in Serie A, il 13 dicembre dello stesso anno, nella partita casalinga contro il Lecce, siglando il 2-0. Dal 2008 al 2011 ha indossato la casacca azzurra collezionando 106 presenze condite da 4 reti totali. 121 sono, invece, le presenze totali in serie A. Tra i vari club troviamo: Udinese, Fiorentina, Bologna e Juve con la quale ha conquistato una Supercoppa nella stagione 2012/2013. Dice addio  all'attività agonistica, nell'estate 2017 ed intraprende subito quella di allenatore.

Di seguito, le dichiarazioni più saliente della nostra chiacchierata.

-          Il ricordo di Diego Armando Maradona

“Mi dispiace tantissimo per la perdita che tutti noi abbiamo subito, soprattutto il calcio mondiale. E’ chiaro che chi non ha vissuto Napoli come calciatore, difficilmente riesce a capire di cosa stiamo parlando. Quel che mi ha dato più piacere è vedere che Maradona è stato vissuto da tutti, è stato tra i pochi se non l’unico ad unite tutte le tifoserie, tutti gli amanti del calcio e non è una cosa semplice. Lui è riuscito in questo, restando semplicemente se stesso in tutte le situazioni sia quelle belle che brutte. Tutto ciò, l’ho visto con i miei occhi con un altro suo concittadino, un calciatore del Napoli di cui ancora oggi ho molta stima: Lavezzi. Era una cosa travolgente, c’era un amore verso quel giocatore che ti ricordava Maradona.”

-         Tanti i momenti belli in maglia azzurra: il tuo primo gol in Serie A contro il Lecce, la gioia di una piazza che tornava in Europa dopo gli anni bui del fallimento e la scalata dalla C verso il calcio che conta.

“La sera di Anfield è stato qualcosa di emozionante che non ho avuto più il piacere di rivivere, in linea di massima tutto il periodo vissuto a Napoli è stato fantastico, considerando che ho vissuto la parte più bella e più entusiasmante. Napoli veniva da un periodo difficile, calcisticamente parlando,  veniva da un fallimentare e poi da una promozione, e tutto ciò che siamo riusciti ad ottenere in quel periodo che ho vissuto a Napoli era sempre un percorso in fase crescendo. C’era un entusiasmo che ti prendeva. Anche il giorno in cui riuscimmo ad arrivare in Champions, la gente aveva un’euforia che fai fatica a dimenticare, la notte non ci dormi, è un’emozione che va oltre il calcio. Se non vivi quelle situazioni, quelle emozioni in prima persona, anche quando uno prova a spiegarle e cerca di riviverle, fai fatica a farlo capire alla gente. Il Napoli in cui ho vissuto io,  era un Napoli che coinvolgeva di più il pubblico, c’erano beniamini come Lavezzi, Hamsik, Cannavaro che sono state delle bandiere per il Napoli. Si ripartiva con ferocia, ci si metteva grinta in campo e questa cosa piaceva tantissimo alla gente, a tutte quelle tifoserie calde che vivono di passione e che vogliono vedere nei propri beniamini indossare la maglia del proprio club con amore. Noi lo facevamo e loro lo riconoscevano ogni volta.”


-          Hai avuto la fortuna di avere allenatori davvero bravi e preparati come Conte, Spalletti, Prandelli, Marino, Pioli, Mazzarri. Chi ti ha colpito particolarmente da prendere come modello per la tua futura carriera da allenatore?

Sono allenatori tutti di primissimo livello e da questo punto di vista mi ritengo molto fortunato. Oggi non c’è  uno in particolare a cui mi ispiro, ho cercato nel corso della mia carriera di rubare, di tenere per me qualcosa di ognuno di loro. Nel momento in cui cerchi di emulare qualcuno in particolare, alla fine dimentichi e ti allontani dal tuo essere. E questo, credo per un allenatore, sia un autogol clamoroso. Nel momento in cui ti esponi con i tuoi giocatori, che ti studiano, ti valutano  se ne accorgono subito che non sei te stesso e perdi di credibilità.  Quindi, qualunque cosa tu possa proporre perde di efficacia. Io credo che un allenatore debba essere sempre se stesso. Cerco quindi, di riproporre tutto quello che ho appreso da calciatore nel momento giusto perché credo che sia giusto così e se mai dovessi sbagliare voglio sbagliare col mio essere. Dal punto di vista calcistico e professionale, sicuramente Mazzarri è quello che mi ha dato più di tutti perché  con lui sono riuscito ad esprimermi meglio. Con gli altri ho avuto meno fiducia, meno continuità ma ciò nonostante non cambia la mia opinione e stima

che ho con ognuno di loro. Mazzarri è riuscito a tirare fuori da me il 100 percento anzi il 1010 percento, perché mi ha fatto andare oltre quelle che erano le mie possibilità.”

-         Allenare una piazza del sud è più impegnativo, visto che hai a che fare con tifoserie calde e più straripanti?

Allenare una piazza del sud non è semplice ma è molto stimolante. Ad oggi, non c’è una vera e propria pressione del pubblico, anche quando vivi la città, le persone che circondano la squadra percepisci l’amore e la passione che hanno per i ragazzi che stai allenando e questo di carica di una maggiore responsabilità, ti stimola ancora di più a dare il massimo, nel creare e nel trasmettere il più possibile ai propri giocatori. E, questo probabilmente è il motivo che le pazze del sud sono sempre più difficili da gestire”.

-       Il compagno più forte con cui hai giocato e l’avversario che ti ha dato più filo da torcere sul terreno di gioco

“Sicuramente Lavezzi ed Hamsik con cui ho giocatore, sono tra i più forti e mi hanno sorpreso. Quelli che mi ha dato più filo da torcere sono stati: Sneijder e Ronaldinho. Se si va poi, a considerare che con Mazzarri avevo dei compiti ben precidi e molto spesso mi ritrovavo a ricoprire una marcatura quasi ad uomo su dei giocatori con un cambio passo, un baricentro passo che non erano facili da tenere a bada.”

-         Un altro ricordo azzurro legato al San Paolo

La partita con l’Inter dove raggiungemmo la qualificazione in Champions e si vide un San Paolo pieno e festoso alla fine della partita. Ricordiamo che il Napoli veniva da traguardi meno importanti ed è  per questo che è stato un percorso sempre in salita, e forse per tal motivo i tifosi erano orgogliosi di noi.”

-         Che calcio è quello che si gioca ai tempi di questa terribile pandemia? Quanto è difficile lavorare in settimana, preparare una partita con le incognite sulla disponibilità o meno dei calciatori con cui si è lavorato in settimana, ed in alcuni casi anche sulla disputa di alcune partite?

“Noi riprenderemo  il campionato molto probabilmente domenica e rispetto alla seria A e B, abbiamo problemi ben diversi sia dal punto di vista logistico che dal punto di vista economicomici. A mio avviso queste difficoltà sono poco o nulla rispetto a tutto quel che si vive fuori dall’ambiente calcistico. Per tal motivo, cerchiamo di affrontarle nel migliore dei modi, non possiamo lamentarci. Ognuno di noi si faccia un esame di coscienza perché c’è chi si è ritrovato senza lavoro, senza portare uno stipendio a casa privandosi della possibilità di dare una vita normale alla propria  famiglia. Bisogna vedere oltre e rendersi conto in primis di queste cose.”

-         Differenze che hai riscontrato tra la vita da  giocatore ed allenatore

“Si dorme completamente meno. Quando giocavo, non vi nego che stava già crescendo dentro di me questa passione di voler allenare perché sentivo che sarebbe stato quello il mio ruolo e futuro. Quando poi passi dall’altra parte ti accorgi che non è semplice affatto e non è come si vede da fuori. Oggi, ad un mio giocatore evito di dirgli ciò e lo farò fino alla fine della mia carriera perché quando lo dici sei poco credibile, devi vivere la situazione. E’ un lavora totalmente diverso, ti trovi a gestire 24/25 persone che hanno una personalità completamente diversa, hanno reazioni ed emozioni opposte e tu devi cercare di unire tutto ciò per farle andare in un’unica direzione. Il campo credo per un allenatore sia la cosa meno difficile, il duro sta nel creare una squadra che vada nella stessa direzione, fargli vivere uno spogliatoio che sia uguale gli uni per gli altri. Nel momento in cui riesci a comporre una squadra, i ragazzi vanno da soli. La parte più difficile è entrare in ogni singolo giocatore e questo  l’ho capito con Mazzarri. Lo scorso anno ho conseguito l’ultimo master che mi ha permesso di allenare ovunque e grazie a quest’esperienza ho potuto confrontarmi con realtà e campi diversi. Mi ha colpito particolarmente Allegri e ricordo una frase in a particolare che ci ha detto - “ a me non piace creare gli allenamenti, a me piace gestire, fare le scelte” - ciò deve fare un allenatore. Un allenatore deve saper leggere una partita, fare delle scelte, mandare in  campo quegli undici che in quel momento possono portarti alla vittoria e dopo aver fatto questa scelta deve capire, nel corso di una gara chi può garantirti  di raggiungere l’obiettivo che ti sei prefissato.”

Passione Azzurra, questa sera la terza puntata con Michele Pazienza


sabato 5 dicembre 2020 - 23:01 | © RIPRODUZIONE RISERVATA

 



Gli ultimi articoli di Napoli Calcio