Cronaca
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Castellammare - Il pentito Cavaliere: «I D'Alessandro comandavano anche a Sorrento»

Cavaliere è stato condannato a 30 anni di carcere in appello pochi giorni fa. «Noi eravamo l’organizzazione a Castellammare. Decidevamo chi doveva morire e tante altre cose in città e nei comuni limitrofi».

tempo di lettura: 2 min
28/06/2016 14:19:18

“Il clan D’Alessandro comandava anche a Sorrento”. E’ quanto emerge dalle dichiarazioni del pentito Renato Cavaliere (alias zi’ Renato) rese durante il processo Tommasino, conclusosi la scorsa settimana con le condanne a 30 anni in Appello nei confronti dello stesso Cavaliere e di Catello Romano. “Noi eravamo l’organizzazione a Castellammare – ha affermato il collaboratore di giustizia nei verbali raccolti dai magistrati – decidevamo chi doveva morire e tutte le cose in città e nei comuni limitrofi”. E proprio tra i comuni del comprensorio figura la città sorrentina. “Avevamo il potere a Sorrento – si legge nei verbali - ma soprattutto nell’area stabiese e, dunque, a Gragnano, Casola di Napoli, Lettere e Pimonte. Io ero un fedelissimo di Vincenzo D’Alessandro, il reggente della cosca. Avevo piena autonomia, basta che dopo avvisavo Enzuccio dicendogli i motivi di una determinata scelta”. Già in passato, dalle relazioni della Direzione Investigativa Antimafia, erano emersi dei collegamenti tra la camorra stabiese e l’area sorrentina. Un contatto che era legato soprattutto alla vendita di stupefacenti nei locali inn della penisola, attraverso dei pusher del posto. Ma recentemente, anche attraverso le parole di alcuni magistrati, è emerso il rischio di un’attività estorsiva posta in essere a Sorrento, una terra definita inoltre “fertile per il riciclaggio dei soldi della camorra”. Cavaliere ha inoltre ripercorso la sua “carriera criminale”, che lo ha portato a scalare la vetta del clan. Il collaboratore di giustizia ha spiegato al pm della Dda di Napoli, Claudio Siragusa, di essersi affiliato ai D’Alessandro verso la fine degli anni ottanta. “Quando avevo 19 o 20 anni – queste le dichiarazioni - ho conosciuto Luigi D’Alessandro, figlio di Michele, e ho stretto amicizia con lui nel senso che ci frequentavamo ogni giorno. Luigi mi faceva un sacco di regali e io gli ero grato. Sapevo chi erano i D’Alessandro e sapevo che Michele, padre di Luigi era il capo della camorra di Castellammare e dintorni. Poi ho conosciuto anche il fratello Pasquale, con il quale avevo fatto delle gare sulle moto senza sapere chi era. Frequentavo la loro casa e spesso mangiavo con loto. Io volevo molto bene a Luigi e, in realtà, gliene voglio ancora nonostante la mia scelta di collaborare con la giustizia”. Cavaliere ha svelato anche il movente del delitto del consigliere comunale del Pd, Gino Tommasino. Secondo il pentito, il politico avrebbe ostacolato gli interessi della camorra sulla realizzazione di alcuni parcheggi tra Vico Equense e Gragnano.

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